La pet therapy a scuola
Perché inserire attività di pet therapy a scuola? Ne vale la pena? E che cosa può insegnare ai bambini?
A scuola, nei centri ricreativi, nei punti dedicati ai bambini e non solo, si parla sempre più spesso di pet-therapy. Ma che cos’è, concretamente, la pet-therapy? Per spiegare il concetto, partiamo dalla sua definizione: si tratta di un trattamento terapeutico che ha l’obiettivo di far star meglio le persone attraverso il rapporto con gli animali.
Ma quali animali vengono coinvolti in queste attività terapeutiche? Dipende perché ogni animale, a modo suo, sa trasmettere emozioni diverse e comunicare in modo altrettanto diverso. In genere, gli animali più utilizzati sono cani, gatti, conigli, asini, capre, pony.
Scopo principale della pet-therapy è, come appunto suggerisce il nome, curare, guarire o almeno alleviare le conseguenze di una malattia. Anche se il rapporto con gli animali, dal punto di vista scientifico, non può sostituirsi a una terapia medica né a qualsiasi altro tipo di intervento, può comunque essere considerato un valido supporto morale, una co-terapia di supporto.
La pet therapy a scuola
A scuola, la pet therapy può essere inserita in diversi modi: o portando momentaneamente alcuni piccoli animali in aula, accompagnati ovviamente da responsabili autorizzati, oppure organizzando piccole gite nelle cosiddette «fattorie didattiche». La maggior parte di queste strutture prevede percorsi pensati ad hoc per bambini di diverse età, con o meno disabilità fisiche o mentali.
All’interno di un percorso formativo, la pet therapy può dare molti spunti per trattare argomenti diversi, come ad esempio il bullismo, le emozioni, i comportamenti adeguati da mantenere nelle varie situazioni della giornata.
«Agli animali manca solo la parola»: è un modo di dire che mette in luce la vera forza del rapporto tra uomo e animale. La mancanza del canale comunicativo verbale permette e costringe, in senso positivo, a trovare, sperimentare e usare canali comunicativi alternativi, come ad esempio le carezze, la mimica facciale, il ritmo del respiro, il tono di voce, la velocità dei movimenti.
Questa «mancanza», la mancanza della parola nel rapporto uomo-animale, dà a tutti, non solo ai bambini, l’opportunità di mettere in discussione le loro reali capacità comunicative e di sviluppare sensibilità maggiori nei confronti della comunicazione non verbale.